Giorno dopo giorno nella Pittura: il voyage d’Italie di Guillaume Rossignol

Testo di Marco Nocca

 

Su un colle della Sabina -campagna misteriosa e lontana dai flussi turistici- attraversati i boschi del monte Tancia, subito dietro Poggio Catino, patria di Gregorio, monaco benedettino dello Scriptorium di Farfa: qui ho incontrato Guillaume Rossignol. Parigino, dopo un periodo di formazione trascorso all’Accademia di Belle Arti di Firenze, egli ha scelto di vivere lontano dalla patria. Ha scelto di vivere in un quadro di Lorrain. L’autunno incipiente dava a quel paesaggio senza Storia, protagonista dell’eternità del mistero della Natura, colori cangianti, formidabili: incanto dell’occhio. E mentre Guillaume ci mostrava ciò che aveva realizzato per rendere l’incanto abitabile (una bellissima casa di pietra e legno, costruita con le sue mani, la cisterna di raccolta dell’acqua piovana, l’orto) nel silenzio unanime di quel luogo, rotto solo da richiami lontani, noi ci sentivamo come le svelte figurette nei quadri di Claude. Cresceva in me la curiosità di scoprire l’opera, cui l’artista aveva preparato una cornice così speciale. Entrato nel suo studio, ho subito capito che da questa stazione sospesa Rossignol parte, giorno dopo giorno, per un voyage d’Italie tutto mentale: un grand tour nel Tempo. I suoi disegni (Primi passi, 2010, Giovane donna , 2012) hanno una grazia fiorentina singolare, coraggiosa nel suo anacronismo dichiarato, o competono con la tradizione del ritratto rinascimentale (il bellissimo Henri, 2001). E quale rappresentazione della Natura si può elaborare vivendo GIA’ in un paesaggio alla Lorrain? Rossignol risponde con i suoi acquerelli, in cui la tecnica è messa al servizio delle trasformazioni della materia: immagini leonardesche, in cui un paesaggio alpino e uno toscano, allo stesso modo, sono ritratti con felicità visionaria “nella forza operosa che li affatica”, restituiti come Natura naturans. O con i superbi “Ulivi”, che ridanno l’essenza dell’albero più diffuso qui in Sabina, vibrante nei ceppi divergenti, tremolanti di colore, e che di verde impregnano il cielo. E’ chiaro il nucleo della sua poetica: Guillaume attraversa la tradizione, della pittura ad olio come del disegno, col desiderio di elaborare con il suo linguaggio una visione “differente”, che parli a noi, oggi. I suoi dipinti impongono a chi guarda l’abbandono della fretta, del tempo a brandelli in cui ogni cosa (immagini in testa) si consuma nel quotidiano. Catturati in un’atmosfera rarefatta, sospesa, di fronte a questi dipinti siamo costretti a rallentare, a depositarci nel tempo lungo che l’opera ha imposto al suo artefice, cercando risposte agli interrogativi che quelle visioni ci pongono: da dove arrivano, dove vanno i protagonisti di Senza titolo (2015), il primo quadro rivelatosi nello studio? Quei Campi Elisi, dove bagliori di luce avvampano le figure sono un paradiso di serenità, o non piuttosto il luogo dove si consuma l’ultimo dramma di quei personaggi, di cui non si capisce bene l’identità, sospesi come sono tra la nudità classica della figura, e quella, cristiana, di anime partecipanti ad una sorta di Giudizio? Anche i ritratti ravvicinati di quelle creature, la cui forma si precisa emergendo dall’ombra, fanno pensare a dei geni buoni ma spossati, angeli invecchiati precocemente, stanchi di non sapere se vanno tra i vivi o tra i morti. C’è una malìa nei dipinti di Rossignol che richiama l’Ottocento purista, un guardare al Rinascimento con occhi innocenti, stupìti di cogliere l’immagine quasi sulla soglia diàfana del suo apparire, ubi consistam dell’Essere che si rivela nella Luce: cosa fissa verso l’alto la Giovane donna n.2 , dall’aria benevola, che si staglia in un Empìreo di nuvole? Potrebbe calare il buio da un momento all’altro, ed ella scomparire. Ma potrebbe anche aumentare quel candore accecante, e lei ugualmente dissolversi. Questo celebra Rossignol con la sua pittura, e questo gli dà forza per proseguire il suo voyage d’Italie tutto interiore: la bellezza dell’esistere rivelata su una soglia, nel misterioso passaggio tra Luce e Ombra. Le epifanie dell’Essere, rivelate nei versi di Rainer Maria Rilke, suo grande sacerdote. Ma noi non siamo soli, sembra aggiungere l’artista. Nel bel dipinto in cui il personaggio in rosso scopre stupefatto le sue fattezze in uno specchio (l’immagine ingigantita ha una sapore surrealista, ricorda le movenze del miglior Savinio) una figura lo supporta, tenendogli la mano, poggiandogli l’altra sul collo: un gesto d’ affetto. Ogni angelo è tremendo, scrive Rilke nelle “Elegie duinesi”. E tuttavia, prosegue il poeta -e Guillaume con lui, giorno per giorno nella Pittura- io vi canto sapendo di voi.

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